1972 - Rolando Renzoni, Roma
L'anno 1972 per Gabriella Capodiferro potrebbe essere decisivo nella misura in cui riuscisse ad intendere il punto terminale del suo lavoro. La pittura non è «proprietà» del pittore quanto invece la creazione è del pittore. Ora Gabriella Capodiferro dovrebbe decidersi — e questa mostra è la sua occasione — se continuare a fare pittura oppure cominciare a dipingere la sua creatività.
Gabriella Capodiferro espone lavori che hanno troppi evidenti riferimenti al firmamento figurativo del passato continuando a baloccarsi tra una corrente e l'altra, tra un artista e l'altro: e questo certamente non favorisce le sue caratteristiche espressive.
Perché Gabriella Capodiferro ci suggerisce questo discorso? A prima vista potrebbe sembrare un modo gentile di sottrarsi ad esprimere un'opinione critica; invece è una precisa convinzione estimativa che intende provocare certe congenialità pittoriche appena abbozzate e poi « strozzate » da esperienze altrui, esperienze che sono state catapultate nella mente della nostra pittrice al punto che frenano ogni libera iniziativa interiore, facendo, inoltre, montare una tensione di insicurezza proiettata nel pubblico, naturale fruitore dell'opera dell'artista.
I grandi del passato — ed anche i contemporanei — debbono insegnarci le vie da percorrere e non quelle percorse: il rinnovamento non è creazione, mentre la creazione è vita. Le «tesi» cromatiche di Gabriella Capodiferro hanno un suggestivo discorso che vogliono rompere il suo passato e su questa strada nuova deve incamminarsi se vuol essere lei stessa.