1972 - Gastone Favero, Roma
Cara Capodiferro, ricordo la prima volta che mi trovai, per caso, davanti a una serie di suoi quadri, allineati per una personale in un ambiente che non aveva mai attirato, prima, il mio interesse. Mi colpì, in vetrina, il ritratto di una fanciulla timida, composta, appena inquadrata da una porzione di finestra evidentemente concepita per giustificare la presenza di uno splendido tendaggio che dava all'insieme un riverbero, una puntualizzazione, una accentuazione di colore tali da rendere il quadro tutto vibrante di spiritualità tesa, riflessiva, quasi sospesa. Ne ebbi una emozione profonda, che mi spinse ad entrare. E così conobbi il suo mondo; figure e paesaggi strutturati al di fuori di ogni tentazione letteraria, dove la pittura, la qualità del linguaggio cromatico era veramente la realizzazione di un amore antico per l'uomo a contatto con la natura.
Non c'era catalogo, in quella mostra, nessuna notizia anagrafica presentava l'artista; eppure avevo la sensazione precisa, io veneziano, di trovarmi di fronte ad una espressione culturale familiare, caratterizzata da un uso sapiente del colore e della luce che solo nell'anti accademismo della scuola di Burano avevo visto fare con emozionante bravura. Grande fu perciò la mia soddisfazione nell'apprendere, quasi Per caso, qualche tempo dopo, la sua provenienza dall'Accademia veneziana, e proprio dalla scuola del grande Bruno Saetti.
Ora, questa sua nuova prova parte da quelle esperienze, e allarga il discorso sull'uomo incentrando il tema dell'amore: la solida tradizione che sta alle sue spalle è la premessa culturale e morale più ferma per assicurarle il successo che merita e che le auguro di cuore.